Nel deserto del Sahara algerino vive da 25 anni quasi dimenticato il popolo profugo dei saharawi. Con loro ho trascorso una settimana , ospite nelle tende, visitando le scuole, gli ospedali, bevendo il the tra le dune, partecipando ai matrimoni, ascoltando storie e leggende per scoprire un popolo dalle lontane origini, costretto a vivere lontano dalla propria terra.Sono soprattutto le donne a tenere in piedi una società cresciuta in esilio mentre gli uomini sono al “fronte”, nel deserto, dove un muro lungo 1200 chilometri è sorvegliato da 100 mila soldati marocchini. Un popolo coloratissimo che è riuscito a mantenere la propria identità e cultura facendo crescere figli che non hanno mai visto le loro case. E che pur non avendo nulla continua a considerare l’ospitalità il bene più prezioso.

Il mio è stato uno dei “viaggi della pace”, organizzati dalle associazioni che sostengono il popolo saharawi per far conoscere la sua causa e per farlo sentire meno “isolato” dal mondo. Siamo andati nel gennaio 2004, diversi giornalisti e operatori umanitari, guidati da un parroco di Reggio Emilia, partendo da Tinduff nel sud dell’Algeria.

5_0000005_4_thumb3Qui da quasi tre decenni, in una fascia di terra di nessuno, sopravvivono grazie agli aiuti internazionali 200 mila profughi in quattro giganteschi campi.
Un antica popolazione, di origine yemenita, che si era trasferita in riva all’oceano, nel Sahara Occidentale, occupato dal 1974 dal Marocco.
Dopo 19 anni di guerra i saharawi hanno deposto le armi e aspettano che la loro vicenda sia risolta dal complesso gioco degli interessi internazionali.

L’altra metà della popolazione è rimasta nelle terre invase, la zona “occupata”, dove i giornalisti non possono entrare e dove è in corso una rivolta di cui nessuno parla. Ho potuto ascoltare le testimonianze di chi è stato separato dai suoi genitori al momento dell’invasione e per oltre 20 anni non ha più potuto neppure sentirli al telefono.
O dei ragazzi che dopo aver subito torture sono scappati dalla zona occupata attraversando i campi minati e il “muro”. E ho promesso che tornerò con loro, nella loro patria, il giorno che gli sarà permesso di tornarci.