A Nuraxi Figus, nel cuore del Sulcis Iglesientes, Sardegna ovest, esiste ancora una miniera di carbone attiva. Ci lavorano 480 dipendenti. Sono andato con loro sottoterra, a 500 metri di profondità, per documentare come si lavora nei tunnel bui e soffocanti.Dopo aver indossato una tuta speciale, scarpe antistatiche, guanti, occhiali, mascherina, elmetto, cinturone, lampada, respiratore di emergenza, si può andare…
Si scende sottoterra con una sorta di ascensore, chiamato “gabbia”, stipati uno affianco all’altro.
La gabbia inizia a muoversi piano poi sempre più veloce. La roccia scorre sempre più scura. C’è silenzio tra i minatori, volti segnati. Una discesa nel centro della terra che dura 8 minuti.
Finalmente si arriva nelle gallerie. Di qui si prosegue su speciali automezzi, le “minecars”, fino ai cantieri di lavoro.
IMG_0612Ci sono le squadre che scavano le nuove gallerie, altre che lavorano alla “coltivazione”, il cuore della miniera, dove una macchina gigantesca, la “tagliatrice”, lunga 200 metri, asporta dalla parete il carbone muovendosi avanti e indietro. Poi l’intera struttura si sposta in avanti, all’interno della roccia di 80 cm. Sembra il film “Alien”. Il rumore è assordante. Si respira a fatica. C’è polvere, umido, un caldo infernale.
La miniera, di proprietà della Regione Sardegna, rimasta aperta anche grazie alle dure lotte dei lavoratori, oggi produce 400 mila tonnelate di carbone l’anno che vanno alla vicina centrale termoelettrica.
Ventiquattro ore su ventiquattro, 365 giorni l’anno. Ci sono tre turni, sette ore ciasscuno, giorno e notte.
Roberto Aru, uno dei 25 nuovi assunti (si erano presentati in 2400 per quel posto…) confessa che non era proprio il lavoro che sognava… “In questa zona della Sardegna non ci sono tante altre alternative. Questo è quello che c’è e che si deve fare”.
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