Ana Maria Muhai, oggi volontaria di Dream, ci mostra la foto di quando iniziò la terapia: è irriconoscibile, uno scheletro umano. Pesava 29 chili, oggi è arrivata a 73. L’epidemia di Aids è uno dei drammi più duri che abbia colpito la già sfortunata Africa. Il virus che ha contagiato oltre 30 milioni di persone ha fatto crollare le aspettative di vita, affondatole già precarie economie, azzoppato i sitemi educativi e sanitari.
In molti stanno lottando contro questa malattia nel continente nero, a volte per interesse economico, a volte scientifico, a volte perchè si deve fare.
C’è però un progetto che sta funzionando meglio di tutti gli altri e che sta diventando l’esempio di eccellenza.
Si chiama “sogno”, o meglio DREAM, che sta per Drug Resource Enhacement Against aids and Malnutrition, ed è stato lanciato nel 2002 in Mozambico dalla Comunità di Sant’Egidio.

Il programma è diverso da tanti altri che semplicemente distribuiscono i farmaci, ma segue i pazienti passo passo con le tecnologie più all’avanguiardia. Dream infatti prevede la somministrazione dei farmaci antivirali (uniti in una sola pillola somministrata due volte al giono, invece che le normali otto) ma soprattutto segue i pazienti con costanza. Analisi biomolecolari per vedere le loro reazioni e il numero dei loro anticorpi. Visite a domicilio.
Un programma di sostegno alimentare per affrontare la malattia. Educazione sanitaria, preparazione di personale medico locale, informazione. E soprattutto un programma per evitare la nascita di figli sieropositivi da donne infette con risultati eccezionali: il 97 dei neonati non presenta l’HIV.

Ho visto i laboratori e i centri medici di Dream a Maputo e Machava. Ho parlato con i medici e i volontari. E ho visto i bimbi nati senza l’incubo del virus. Oggi DREAM è diffuso in 12 paesi africani e rappresenta la speranza per milioni di persone.